Non c'è arte senza design

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L’arte è oggi intesa come un prodotto particolare e originale nato dalla mente e dalle mani di un artista, il quale esprime la propria creatività attraverso espressioni estetiche che prendono la forma di oggetti irripetibili ed esclusivi. Unicità e irriproducibilità, infatti, sono due caratteristiche che tradizionalmente fanno riferimento all’oggetto artistico e lo distinguono da quello comune. 

Con l’avvento del capitalismo e dell’epoca della riproduzione meccanica questo concetto di arte viene messo in discussione dalla possibilità di produzione di copie esatte che priva l’oggetto estetico delle sue caratteristiche originarie, del suo hic et nunc; basti pensare alla fotografia. Proprio in quegli anni Baudelaire afferma che l’arte sarebbe potuta sopravvivere alla civiltà capitalistica solamente se si fosse adattata alle nuove leggi di mercato, quindi trasformandosi in merce e opponendo l’oggetto unico a quello in serie, negando così le componenti tradizionali dell’opera d’arte. È in questo clima che Walter Benjamin, negli anni del nazismo, con la sua rivoluzionaria teoria dell’arte dà il via ad un dibattito filosofico in cui teorizza della perdita di ciò che lui chiamava “aura”, ovvero quell’alone che circonda l’opera d’arte e che la distingue da tutti gli altri manufatti. In un’epoca in cui, grazie alla tecnologia, tutto è riproducibile e tutto sembra avere la pretesa di essere arte, questo concetto torna ad essere più attuale che mai. Ma allora quali sono quelle caratteristiche che elevano il prodotto artistico e lo distinguono dall’oggetto comune? Cos’è che oggi distingue l’arte dal quotidiano? Chi, o quali istituzioni sono in grado di decretare che cosa è arte e che cosa non lo è? All’interno di questa riflessione si dovrebbe ridefinire l’importanza del contesto museale come luogo in grado di riconnettere il cerchio dell’arte; si dovrebbe riconsiderare la funzione educativa del museo inteso come istituzione capace di guidare e istruire i visitatori nell’apprezzamento e nel riconoscimento della particolarità dell’oggetto artistico; un compito estremamente difficile in anni in cui un paio di occhiali appoggiati per terra al Moma di San Francisco sollecitano per ore la curiosità di tutti i visitatori. È proprio nel momento in cui tutto sembra voler essere definito arte che torna ad essere fondamentale l’intervento del museo il cui ruolo si rivela complesso, ma decisivo e sempre più necessario, perché “se tutto è arte allora niente è arte”, citando Munari.
In particolare è il design ad essere chiamato al centro di questo dibattito in quanto la riproduzione in serie, seppur talvolta limitata, elimina definitivamente il fattore dell’unicità dei propri prodotti che, per questo, riescono a scappare dallo spazio museale e ad invadere uffici e case, con il rischio, però, di confondersi con gli oggetti della vita quotidiana. In mancanza di tale elemento, il design, per essere riconosciuto come forma d’arte, ha dovuto sviluppare autonomamente una nuova aura sulla base di elementi diversi. Olivetti, brand indiscusso nel settore design, sembra aver trovato una soluzione a questo dilemma; è esemplare la produzione di Valentine con cui Sottsass è riuscito a trasformare un oggetto comune come la macchina da scrivere in qualcosa di più; l’ha trasformato in un accessorio di moda non solo esteticamente bello e piacevole da guardare o da utilizzare, ma un oggetto con un valore aggiunto. Il colore, l’ironia, la storia che sta dietro al nome e l’abbandono delle convenzioni hanno portato i compratori a scegliere Valentine piuttosto che un’altra macchina e a riconoscerne l’unicità a tal punto da farla diventare un oggetto di culto oggi esposto in diversi musei, nonché il luogo che ufficializza ciò che è arte e ciò che non lo è.