Talking Hands: moda sostenibile e solidale

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A Treviso, nell'ex Caserma Piave, c’è il cuore di un progetto che promuove l’integrazione sociale attraverso la moda.

L’innovativo laboratorio di design e innovazione  “Mani che parlano”, ideato da Fabrizio Urettini, conta soprattutto sul contributo di giovani immigrati africani (Ghana, Costa d'Avorio, Nigeria e Mali) che realizzano giacche, kimono e capispalla unisex e double-face.

Da un lato variopinte stampe wax, dall’altro i pregiati tessuti provenienti dal lanificio Paoletti che dal 1795 opera nel bellunese e regala a Talking Heads le pezzature che non raggiungono le dimensioni minime per la commercializzazione.

I 25 rifugiati richiedenti asilo – con la supervisione di Anthony Knight, docente di modellistica allo Iuav di Venezia e di Annaclara Zambon textile designer trevigiana di origini argentine - hanno dato vita alla loro prima capsule collection Mixité (in cui non esiste un capo uguale all’altro).

Non si tratta di artigianato etnico, ma di capi unici con volumi oversize e accostamenti originali proposti con un buon rapporto qualità / prezzo. Il ricavato delle vendite in parte finanzia il progetto, in parte va ai giovani sarti in modo che possano aiutare le famiglie rimaste nei paesi d’origine, in parte aiuta altri migranti in difficoltà.

Nel laboratorio si formano anche fabbri e falegnami grazie al supporto di designer e esperti volontari. La speranza è che in futuro trovino lavoro in aziende o che continuino a supportare Talking Hands.

Anthony Knight ha dichiarato a Elle: “Ho a cuore il futuro di ognuno di loro perché anche io sono figlio di genitori giamaicani emigrati nel Regno Unito. Sogno che un giorno siano i clienti a venire in atelier per commissionare loro qualche abito. Hanno talento e voglia di fare".