L’indagine AlmaLaurea ha coinvolto oltre 630 mila laureati di 75 Atenei italiani:
- 273 mila di primo e secondo livello del 2017, contattati a un anno dal termine degli studi
- 110 mila di secondo livello del 2015, contattati a tre anni dal conseguimento del titolo
- 110 mila del 2013, contattati a cinque anni dalla laurea.
Tasso di occupazione
Nel 2018 il tasso di occupazione, che include anche quanti risultano impegnati in attività di formazione retribuita, è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 72,1% tra i laureati di primo livello e al 69,4% tra i laureati di secondo livello del 2017.
Il confronto con le precedenti rilevazioni evidenzia un tendenziale miglioramento del tasso di occupazione che, nell’ultimo quadriennio, risulta aumentato di 6,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 4,2 punti per i laureati di secondo livello.
A tre anni dalla laurea il tasso di occupazione raggiunge l’87,6% tra i laureati di primo livello e l’81,9% tra i laureati di secondo livello. A cinque anni dal conseguimento del titolo il tasso di occupazione è pari all’88,6% per i laureati di primo livello e all’85,5% per i laureati di secondo livello.
Si confermano significative le tradizionali differenze di genere e, soprattutto, territoriali, mostrando la migliore collocazione degli uomini (16,1% di probabilità in più di essere occupati rispetto alle donne) e di quanti risiedono o hanno studiato al Nord.
I laureati che terminano il percorso di studio entro un anno fuori corso mostrano il 12,5% di probabilità in più di essere occupati, a un anno dal conseguimento del titolo, rispetto a quanti terminano con almeno due anni di ritardo.
L’età alla laurea, inoltre, a parità di condizioni, incide negativamente (-5,6% per ogni anno in più) sulla probabilità di essere occupati a un anno dal conseguimento del titolo.
Le esperienze lavorative rappresentano fattori che esercitano un effetto positivo sulle possibilità occupazionali a un anno dal termine del percorso di studio. A parità di ogni altra condizione, infatti, i lavoratori studenti (coloro che hanno avuto esperienze di lavoro continuative e a tempo pieno per almeno la metà della durata degli studi) hanno il 65,1% di probabilità in più di essere occupati rispetto agli studenti che giungono alla laurea privi di qualsiasi esperienza di lavoro.
Chi ha svolto un tirocinio curriculare ha il 9,1% di probabilità in più di essere occupato a un anno dal conseguimento del titolo rispetto a chi non ha svolto tale tipo di attività.
Analogamente, chi ha svolto un periodo di studio all’estero, riconosciuto dal proprio corso di studio, ha maggiori probabilità di essere occupato rispetto a chi non ha mai svolto un soggiorno all’estero: ad esempio, tra chi ha maturato tale esperienza nell’ambito di un programma dell’Unione Europea il valore di probabilità è +12,7%.
Anche le competenze informatiche esercitano un effetto positivo sulla possibilità di trovare un impiego entro il primo anno dal conseguimento del titolo: la probabilità di essere occupati, tra chi conosce almeno cinque strumenti informatici, è del 26,1% più alta rispetto a chi conosce al più due strumenti.
Anche la disponibilità ad effettuare trasferte per motivi lavorativi (indipendentemente dalla frequenza) risulta premiante in termini occupazionali (15,2% di probabilità in più rispetto a chi non dichiara tale disponibilità).
All’opposto, si evidenzia una minore probabilità di occupazione per chi ritiene importante, nel lavoro cercato, la flessibilità dell’orario di lavoro, la stabilità e sicurezza del posto di lavoro e la rispondenza ai propri interessi culturali (le probabilità variano da -11,1 a -6,6%).
Tasso di disoccupazione
A un anno dal conseguimento del titolo il tasso di disoccupazione è pari al 15,9% tra i laureati di primo livello e al 15,8% tra i laureati di secondo livello. Rispetto all’indagine del 2014, si evidenzia una contrazione del tasso di disoccupazione di 10,2 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 7,6 punti per quelli di secondo livello.
Tuttavia, i segnali di miglioramento evidenziati non sono ancora in grado di ricollocare i livelli di disoccupazione al periodo pre-crisi: tra il 2008 e il 2014, infatti, il tasso di disoccupazione è aumentato di 14,9 punti per i laureati di primo livello e di 13,0 punti per i laureati di secondo livello.
A tre anni dalla laurea, il tasso di disoccupazione è del 7,4% per i laureati di primo livello e del 9,4% per quelli di secondo livello. A cinque anni dal conseguimento del titolo, nel 2018, il tasso di disoccupazione risulta pari al 6,5% tra i laureati di primo livello e al 6,8% tra quelli di secondo livello.
Retribuzione
Nel 2018 la retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, in media, pari a 1.169 euro per i laureati di primo livello e a 1.232 euro per i laureati di secondo livello.
In un contesto caratterizzato da una sostanziale stabilità dei prezzi al consumo, rispetto all’indagine del 2014 le retribuzioni reali a un anno dal conseguimento del titolo figurano in aumento: +13,4% per i laureati di primo livello, +14,1% per quelli di secondo livello. L’aumento rilevato, tuttavia, non è ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva registrata nel periodo più difficile della crisi economica che ha colpito i neolaureati, ovvero tra il 2008 e il 2014 (-22,4% per il primo livello, -17,6% per il secondo livello).
A tre anni dalla laurea la retribuzione mensile netta raggiunge i 1.331 euro per i laureati di primo livello e i 1.352 euro per i laureati di secondo livello. A cinque anni dal conseguimento del titolo la retribuzione mensile netta è pari a 1.418 euro per i laureati di primo livello e 1.459 euro per quelli di secondo livello.
Lavoro all’estero
Il lavoro all’estero coinvolge un’apprezzabile quota di laureati delle università italiane. Tra i cittadini italiani, a un anno dalla laurea risulta occupato all’estero il 4,9% dei laureati di primo livello e il 5,1% dei laureati di secondo livello.
A cinque anni dal conseguimento del titolo, il fenomeno del lavoro all’estero risulta in crescita e riguarda l’8,3% dei laureati di primo livello e il 5,7% di quelli di secondo livello.
La quota di occupati all’estero risulta in tendenziale crescita, in parte a causa delle difficoltà incontrate sul mercato del lavoro negli anni di maggiore crisi economica. Considerando i laureati di secondo livello del 2013 intervistati a cinque anni dal conseguimento del titolo:
- il 40,8% ha dichiarato di aver maturato tale scelta per mancanza di opportunità di lavoro adeguate in Italia
- un ulteriore 25,4% ha lasciato l’Italia avendo ricevuto un’offerta di lavoro interessante da parte di un’azienda che ha sede all’estero.
Il 10,3% ha dichiarato, invece, di aver svolto un’esperienza di studio all’estero (Erasmus o simile, preparazione della tesi, formazione post-laurea, ecc.) e di essere rimasto o tornato per motivi di lavoro; ciò conferma che mobilità richiama mobilità, ovvero maturare esperienze lontano dai propri luoghi di origine favorisce una maggiore disponibilità a spostarsi, anche al di fuori del proprio Paese. Infine, il 9,8% si è trasferito per motivi personali o familiari, mentre il 3,4% lo ha fatto su richiesta dell’azienda presso cui stava lavorando in Italia.
Per quanto riguarda l’ipotesi di rientro in Italia, il 33,2% degli occupati all’estero ritiene tale scenario molto improbabile, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni. Di contro, solo il 12,9% è decisamente ottimista, ritenendo il rientro in Italia molto probabile. Il 30,3% valuta tale ipotesi poco probabile, mentre il 13,6% non è in grado di esprimere un giudizio.
I laureati di secondo livello occupati all’estero provengono soprattutto dai gruppi disciplinari di ingegneria (19,0%), economico-statistico (16,2%), politico-sociale (11,2%) e architettura (10,6%); gruppi dove, tra l’altro, si confermano le principali tendenze di seguito evidenziate.
Inoltre, provengono per la maggior parte da contesti economicamente e culturalmente favoriti, risiedono e hanno studiato al Nord, come visto nel precedente paragrafo, e già durante l’università hanno avuto esperienze di studio al di fuori del proprio Paese.
Coloro che decidono di spostarsi all’estero per motivi lavorativi hanno performance di studio tendenzialmente più brillanti rispetto a quanti decidono di rimanere in Italia. Tra i laureati del 2013, a parità di corso di laurea, il 58,4% degli occupati all’estero ha un punteggio medio negli esami più elevato rispetto ai laureati del medesimo percorso di studio (tale quota è pari al 50,7% tra gli occupati in Italia).
Anche in termini di regolarità si evidenziano interessanti differenze: l’83,2% di chi lavora all’estero ha conseguito il titolo entro il primo anno fuori corso, rispetto al 76,5% rilevato tra chi lavora in Italia.
A cinque anni dal conseguimento del titolo di secondo livello, l’85,6% degli occupati all’estero lavora in Europa; più contenuta risulta, invece, la quota di occupati nelle Americhe (5,9%), cui si aggiunge un ulteriore 4,8% di occupati in Asia. Le quote relative ai laureati che lavorano nel continente africano e in Oceania risultano residuali.
Più nel dettaglio, a cinque anni dal titolo, il 22,8% dei laureati di cittadinanza italiana lavora nel Regno Unito, l’11,6% in Svizzera e l’11,4% in Germania; il 9,4%, invece, lavora in Francia, mentre il 6,0% in Spagna.
Le retribuzioni medie percepite all’estero sono notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia: i laureati di secondo livello trasferitisi all’estero percepiscono, a cinque anni dal titolo, 2.266 euro mensili netti, +61,0% rispetto ai 1.407 euro di coloro che sono rimasti in Italia.
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