L’italicità passa da Walter Benjamin

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Il processo di costruzione dell’identità oggi è più complesso di prima, più lungo,  ma potenzialmente molto più ampio: l’intuizione che Piero Bassetti porta avanti da anni è attuale e rivoluzionaria nel riconoscere una verità che sperimentiamo ogni giorno.

“Il prodotto Made in Italy nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” potrebbe essere un titolo di un contemporaneo Benjamin. Non perché decenni fa il made in Italy non potesse essere copiato, ma perché solo oggi assistiamo a fenomeni globali di riconoscimento di uno stile vita che porti appartenenza oltre i confini nazionali e gli immaginari di consumo a cui si aderisce. Nel pensiero di Bassetti si può essere italici per nascita, eredità, o aspirazione. Ma si può anche ripudiare il concetto di italicità, in modo che anche chi nasce a Milano possa sentirsi parigino dentro.

Insomma, è nel mercato che riconosciamo le tendenze sociali, in quell’oscillare continuo di domanda e offerta - bisogni e soluzioni - che racchiude ogni nostra azione giornaliera, volenti o nolenti.

“La mozzarella fatta con il latte di bufala in India, se fatta secondo il modo di fare italico,  seguendo la qualità può essere un prodotto eccellente come quello realizzato nell’agro-campano” (G. Lanzone, appunti). C’è una grande differenza tra questo esempio e il finto parmigiano che si può trovare negli scaffali all’estero: l’Italian Sounding finge di essere italico ma senza portare un contenuto valoriale di sottofondo, cosa che invece nell’esempio citato succede, con il rischio di  non creare nemmeno l’istinto ad approfondire il tema. Ecco perché l’italicità nel mondo va incoraggiata. Ecco perché Benjamin, forse, oggi sosterrebbe una tesi simile a quella del professor Lanzone.

Nel chiederci cosa renda la cultura italica popolare nel mondo non possiamo dimenticare che la storia dell’umanità è un continuo alternarsi di fasi prevalentemente razionali o irrazionali.

Un po’ come il taylorismo è il modello aziendale ideale in momenti di forte difficoltà e incertezza,a inizio Novecento il modello Bauhaus funzionò anche perché veicolava razionalità, sicurezza, schemi fissi, tutte idee di cui il mondo aveva bisogno dopo le tragedie della guerra. Oggi la differenza si fa su un piano più irrazionale che razionale: la maggior parte delle scelte giornaliere sono dettate da movimenti sotterranei del nostro modo di vivere. Il pregio del design è di poter avere un impatto sociale al di là della sfera politica, restando libero di modificarsi a seconda delle esigenze. Unendo funzionalità ed estetica cerca di rispondere ai bisogni di ognuno, arrivando alla frontiera del design for all e della design direction.

“Fatta la legge, trovato l’inganno”. Nei detti popolari si trova spesso la verità, e la verità è che gli italiani - tra gli altri - hanno fatto della capacità di innovarsi e della versatilità un’arma vincente nei secoli. In mezzo ai nostri tanti difetti c’è una certa propensione all’ibridazione, alla capacità di ascolto e creatività, insieme a cultura della qualità. Tutte caratteristiche che si inseriscono nella società che giorno dopo giorno si va formando.

Il mercato è lo specchio dell’attualità e secondo l’Osservatorio PwC tra pochi anni a guidarlo saranno i Millennials, cioè i nati tra il 1981 e il 1996, una generazione che per natura è votata all’apertura mentale e al multitasking piuttosto che allo studio approfondito e univoco di un fenomeno.