Lei, Laurenti, che è l'animatore del Circolo romano degli ITALICI, può spiegarci questo progetto?
Il Progetto ”Italici” mira alla scoperta e alla valorizzazione di una importante realtà: gli oltre 250 milioni di persone che vivono nelle più varie parti del pianeta, che dobbiamo abituarci a chiamare, appunto “italici”: si tratta di cittadini italiani in Italia e fuori dal Paese, ma anche e soprattutto di discendenti degli italiani che vivono in Europa, nel continente americano (dal Canada al Brasile, all’Argentina), di italo-australiani, di italiani di altra nazionalità (svizzeri italiani, sammarinesi, italiani dell’Istria e della Dalmazia) e di italofoni in genere. Sono altresì italici tutti coloro che - anche senza avere una goccia di sangue italiano né alcuna intenzione di diventare cittadini italiani - hanno abbracciato valori, stili di vita e modelli di “italicità” diffusi nel mondo, ibridandoli con altre culture.
Come intendete unire gli italici sparsi per il mondo?
Vogliamo trasmettere a questa vasta comunità la consapevolezza di appartenere a una civiltà bimillenaria che, partendo da Roma, ha prodotto il Rinascimento ed oggi è riconosciuta quale eccellenza globale nell’arte, nell’alto artigianato, nella musica, nella moda, nel design e nella gastronomia.
Non crede che la lingua italiana, che occupa soltanto il 18° posto tra quelle più parlate al mondo, possa essere un ostacolo alla creazione di un Commonwealth italico?
Tutt'altro. C'è anche una globalizzazione che parla italiano. Non bisogna, infatti, dimenticare che l'italiano è la quinta lingua più studiata al mondo. E in alcuni paesi dell'area Mediterranea è addirittura la seconda lingua di studio, per lo più per motivi di lavoro. Condizione perché questa percentuale aumenti è la presenza di imprese multinazionali nel mondo, comprese quelle "tascabili. Gli stranieri si impossessano della nostra lingua e nascono pseudo italianismi nel mondo, cioè parole non italiane ma che si ispirano al nostro idioma.
Lei ha citato il valore della “italicità”; forse voleva dire “italianità”?
Attenzione: italicità, non italianità. Può sembrare una sfumatura lessicale, invece la differenza è sostanza. L’italicità non è data da un passaporto o dall’appartenenza a un territorio - nel caso specifico, la nostra Penisola - bensì definisce una più ampia comunità fondata sulla condivisione di valori, interessi ed esperienze: quell’italian way of life, per usare un’espressione internazionale, che è il prodotto di una storia molto più lunga e complessa di quella italiana.
Qual è il territorio di riferimento dell’italicità?
Il territorio è innanzitutto la rete, non il pezzo di terra. Rete intesa come infrastruttura e piattaforma per mettere in relazione le persone, e infatti noi abbiamo creato allo scopo Italica Net. Attorno al concetto di italicità abbiamo anche fatto nascere una Scuola,“ la Schola Italica”, per l’appunto, che ha sede sull’isola di San Servolo, nella laguna di Venezia. Per contribuire alla crescita della comunità italica, accompagnando l’affermarsi di un’idea ampia di civilizzazione, sarà presto costituita una Associazione che poi diventerà Fondazione.
Gli italici, potrebbero distinguersi, oltre che per lo stile di vita, anche per lo stile di lavoro: è d’accordo?
Completamente. Noi parliamo infatti di Made by Italics, che è cosa diversa dal solito Made in Italy, perché identifica non soltanto i prodotti di qualità , ma anche le relazioni e lo scambio culturale che ne sono alla base. Proprio per queste ragioni presso la Schola in settembre si è parlato di moda, design e modi di produzione. Stiamo proponendo al mondo un risveglio italico generale, che contempla anche, rispetto alla produzione in serie, tipica di altre culture industriali, il recupero e la valorizzazione del prodotto creato con cura artigianale e che ha come segno distintivo la qualità . Questa è una linea culturale che gli italici possono insegnare al mondo.
Il processo di globalizzazione sembra inarrestabile. Quale ruolo possono avere gli italici al suo interno?
Gli italici sono una world community che può diventare protagonista della storia globale. In un mondo sempre più interconnesso, che ha bisogno di nuovi attori e di nuove culture capaci di rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione, noi pensiamo che l’appartenenza italica sia una grande risorsa innanzitutto culturale e politica, ma anche di business e di mercato. E’ tempo che le nostre istituzioni, la politica e i media riscoprano e sostengano questo soft power italico, definito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella << una straordinaria miscela di cultura, esperienze, natura e saperi>>.
Il vostro è, dunque, un progetto che non ha soltanto una valenza culturale ma anche economica?
Sì. Il terreno più fertile per questi "sogni realistici" è proprio la business community, nella quale è molto più facile, anche sotto la spinta degli affari e dell'economia, incarnare impegni e interessi. Naturalmente ciò non significa adottarne tutte le logiche, spesso guidate solo dal profitto, ma utilizzare i meccanismi economici, dando ad essi anche un'anima e valori che sappiano mettere al centro la persona e la cultura. Non per nulla l'Italia ha conosciuto anche in questi anni la sua ripresa grazie all'esportazione, come quella di giovani desiderosi di muoversi, spinti non soltanto dalla ricerca di un'occupazione, ma anche dalla ricerca del nuovo e di nuove relazioni.
Cosa pensa della fuga dei cervelli che tanto impoverisce il nostro Paese?
La fuga (che più propriamente definirei circolazione) dei cervelli, c'è sempre stata. Tale fenomeno trae le proprie radici nella nascita delle Università che ha gradualmente rimesso in circolazione, fuori dalle mura dei conventi dove avevano trovato protezione nei secoli più bui, i testi antichi e, con essi, la conoscenza del sapere e la produzione culturale. Tanti studiosi e tanti artisti hanno lasciato la propria terra di nascita per andare ad accrescere il proprio sapere e la propria maestria altrove, determinando al contempo l’arricchimento culturale dei nuovi luoghi di attività. In genere si è trattato di vite coronate dal successo che, attraverso un percorso ricco di sacrifici, hanno quasi sempre riportato lo studioso o l’artista a casa. A tal proposito cito l’esempio del mio antico concittadino Goffredo da Viterbo, il quale, lasciata la sua città natale a poco più di quindici anni di età per andare a studiare in Germania al seguito di un vescovo, si ritrovò poi ad essere cappellano e notaio di almeno tre imperatori ed in particolare, a partire dal 1152, di Federico Barbarossa. Goffredo fu autore prolifico di opere monumentali scritte in versi in latino tardo: non è annoverato tra i grandi della letteratura, tuttavia ebbe una funzione preziosissima per la diffusione della cultura nei secoli XII° e seguenti. Egli infatti recepì e riassunse, in maniera per così dire enciclopedica, nelle sue tante opere ed, in particolare, nel Pantheon, tutte le fonti letterarie e storiche da quelle più antiche, allora conosciute, consentendo così, spesso, il salvataggio della memoria delle stesse. Goffredo tornò più volte a Viterbo anche al seguito del Barbarossa. Si stabilì definitivamente nella sua città natale a tarda età e qui morì nel 1195 . L’esperienza di Goffredo da Viterbo dimostra che una vita avventurosa in terre anche molto lontane, non necessariamente tronca le radici con la patria di origine.
Dunque la circolazione di cervelli ha sempre contraddistinto l'Europa e, in particolare, l'Italia, coinvolgendo poeti, letterati, medici, musicisti, uomini d'armi e di chiesa, artisti e, in questi ultimi anni ,…chef e stilisti!
Negli anni '60, '70, '80 , fino all'avvento generalizzato del web, l'accesso alla conoscenza scientifica avveniva esclusivamente attraverso il percorso scolastico ed universitario e l'approfondimento individuale mediante i testi scritti. Tante le problematiche conseguenti : accesso elitario agli studi, scarsa disponibilità di laboratori ed attrezzature, qualità non omogenea del corpo docente, sostanziale esclusione di gran parte dei cittadini residenti nelle aree rurali e nelle periferie urbane.
Poi è arrivato il web e, contemporaneamente, si è avviata una pressoché totale globalizzazione dell'economia e della scienza. Pertanto non ci sono più di fatto barriere per l'accesso alla conoscenza scientifica ed alla cultura in generale, non esistono confini nazionali per la circolazione delle idee, delle acquisizioni scientifiche, dell'innovazione. Alla stessa stregua non ci sono più barriere per la circolazione e l'emigrazione dei cervelli, degli scienziati, dei protagonisti della ricerca in qualsiasi campo.
Ma qual è il fine ultimo di questo progetto “Italici”?
Con l’Incontro di martedì 23 nasce a Roma il primo Circolo degli Italici. Presto nascerà una Associazione-Rete, e sembra che alcuni imprenditori abbiano l’intenzione di creare una Fondazione con lo stesso nome, che certamente fornirà supporto economico oltre che progettuale. Intanto l’ispiratore del progetto, Piero Bassetti, tiene un suo editoriale in una trasmissione di Rai Italia per ben 45 puntate consecutive viste in tutto il mondo dagli Italici: non solo coloro i cui avi sono emigrati nei vari continenti nel corso dell’ultimo secolo, ma anche e, direi, a maggior ragione, poiché è il risultato di una libera scelta individuale, di coloro che si riconoscono nello spirito italico : persone spesso che neppure sono in grado di parlare la lingua italiana ma certamente riconoscono ed amano il linguaggio italico . Nel gennaio 2019 si terrà il prossimo incontro a Corfinio, in Abruzzo, per operare una simbolica ricongiunzione con il passato: infatti Corfinio era, nel 90 a.C., la capitale della Lega Italica e là fu coniata la moneta d’argento dove per la prima volta compare il termine Italia.
Quali frutti potranno nascere da queste iniziative?
Sul piano del business, della diffusione della cultura Italica nel mondo, delle ricadute positive per il turismo ed il consumo dei prodotti italici, è tutto facilmente intuibile , ma anche sul piano squisitamente politico, non ho paura a dire che ne potrà derivare un grande vantaggio: se servirà, ed ho paura che servirà presto, saranno gli Italici a salvare gli italiani. C’è un passaggio significativo in un recente bel film su Winston Churchill intitolato” La notte più buia” : nel pieno della seconda guerra mondiale con il pericolo imminente di una invasione nazista nella propria Patria, Churchill va in metropolitana a parlare con la gente per capirne lo stato d’animo e ad una signora che manifesta la propria paura dice: “se anche i tedeschi sbarcassero nella nostra Isola e conquistassero Londra noi resisteremmo fino alla fine e comunque, se anche le nostre forze non bastassero, sarebbero i nostri fratelli ed amici del Commonwealth a venire in nostro soccorso e salvarci”. Il parallelo con l’attuale situazione Italiana è facilmente intuibile.
Lei è stato dal 1976 al 1981 il primo Presidente dei Giovani D.C. Europei ed attualmente è Segretario Generale della Fondazione Sorella Natura : come si concilia questo con il recente impegno ad animare la nascita dell’Associazione degli Italici?
E’ tutto perfettamente coerente: il sentirsi europei e l’impegnarsi per la difesa e la salvaguardia della natura e dell’ambiente sono elementi caratteristici del DNA degli Italici.
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