Rapporto ISMEA: Competitività dell'agroalimentare

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L’agroalimentare è una grande risorsa per l’Italia: 61 miliardi di euro di valore aggiunto, 1.4 milioni di occupati, oltre 1 milione di imprese e 41 miliardi di euro di esportazioni.

Il 2017 è stato un anno particolarmente negativo per l’agricoltura mediterranea. In Italia e in Spagna la produzione agricola in volume è diminuita rispetto all’anno precedente, principalmente per il segmento delle coltivazioni, esposto alle anomalie meteorologiche che hanno fortemente caratterizzato l’annata.

Particolarmente colpito è stato il settore vitivinicolo nei tre principali paesi produttori, Italia, Francia e Spagna, ma nel nostro Paese i risultati sono stati negativi per la gran parte dei settori.

Secondo il Rapporto ISMEA presentato a luglio 2018, l'agroalimentare italiano esce comunque dal decennio di crisi dimostrando tenuta economica e buona capacità di agganciare la ripresa. I segnali positivi sono numerosi:

  • crescita della produttività del lavoro
  • ripresa degli investimenti
  • qualità, con primati sul fronte dell'agricoltura biologica e delle indicazioni geografiche Dop e Igp
  • ottimo andamento delle esportazioni, specie vino e prodotti trasformati ad alto valore aggiunto.

Nell’intero periodo 2007-2016, la produttività del lavoro in agricoltura è cresciuta in totale del 9,5%, mentre l’intera economia ha registrato -4,4%.

Per l’industria alimentare il trend della produttività nel decennio 2007- 2016 è stato moderatamente positivo, con particolari miglioramenti tra il 2013 e il 2017, quando la produttività del lavoro è cresciuta del 4,9%.

Criticità

Permangono i problemi legati agli squilibri strutturali della filiera: la componente produttiva risulta penalizzata dai margini bassi in favore della logistica e della grande distribuzione. Gli agricoltori hanno una debolezza contrattuale nei confronti della distribuzione, che limita il trasferimento a valle degli incrementi di costo conseguenti alla crescita dei prezzi della materia prima agricola.

Su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, ne rimangono appena 22 come valore aggiunto ai produttori agricoli i quali devono coprire gli ammortamenti e pagare i salari, ottenendo come utile 6 euro, contro i 17 euro che rimangono in capo alle imprese del commercio e del trasporto.

A livello europeo l'agroalimentare italiano mostra ancora segnali di debolezza. Il confronto con Paesi quali Francia, Germania e Spagna rileva un gap sfavorevole ancora elevato in termini di strutture aziendali, di efficienza, di tecnologia e produttività.

L’orientamento ai mercati esteri delle imprese agroalimentari italiane è più basso della media Ue: la propensione a esportare è pari al 44% per l’Italia, mentre supera il 60% per la media Ue.

Prospettive di business

A medio - lungo termine l’evoluzione della domanda globale di alimenti appare molto aderente alle caratteristiche dell’offerta di prodotti del made in Italy. Un nuovo approccio al cibo considerato sempre più come occasione di consumo differenziato, per appagare bisogni complessi come qualità, tipicità, esperienza culturale si va rapidamente diffondendo tra le vaste borghesie dei paesi emergenti.

Ciò sta generando una domanda mondiale di eccellenze alimentari sempre meno sensibile al prezzo, molto elastica rispetto al reddito e ben disposta a pagare la qualità e la distintività. Una domanda promettente, alla quale l’agroalimentare italiano può rispondere in modo adeguato, con una gamma di prodotti che non ha uguali nel resto del mondo.

A breve termine, le prospettive sono meno ottimistiche, a causa degli effetti della crisi del vecchio modello di globalizzazione e della conseguente deriva neo-protezionistica, che si aggiunge agli embarghi tra Russia e Europa.

Commercio con l’estero

Negli ultimi cinque anni le esportazioni agroalimentari italiane sono aumentate del 23%, più di quelle dell’Ue, superando di poco la quota dei 41 miliardi di euro a fine 2017. Nel frattempo, le esportazioni dell’Ue sono arrivate a quasi 525 miliardi di euro: dall’Italia proviene quindi circa l’8% dell’export agroalimentare dell’Unione.

Con la graduale crescita del reddito disponibile, lo svilupparsi delle potenzialità informative attraverso il Web, l’ampliarsi dei flussi turistici, sempre più ampie categorie di popolazione hanno modificato il proprio approccio al cibo, in coerenza con la tendenza al cambiamento delle aspettative culturali e degli stili di vita.

Prendendo le prime cinque voci delle esportazioni agricole italiane rispetto al corrispondente valore dell’export europeo, l’Italia è sempre il primo esportatore. Così all’Italia si deve il 35%-36% dell’export di mele e di uva, il 47% di kiwi, il 61% di nocciole sgusciate, il 35% di prodotti vivaistici.

Allo stesso tempo, i principali prodotti agricoli importati dall’Italia sono riconducibili a materie prime (caffè, frumento duro, tenero e altri cereali) che vengono trasformate e valorizzate dall’industria alimentare nazionale.

Per quanto riguarda i prodotti alimentari trasformati l’Italia è il primo esportatore di pasta e di conserve di pomodoro con una quota del 65% circa del valore dell’export Ue; nel caso dei vini e dell’olio d’oliva scende in seconda posizione, incidendo rispettivamente per il 27% e per il 23% delle esportazioni europee; infine, con una quota del 13%, l’Italia è il quarto esportatore Ue di formaggi e latticini.

FonteIsmea

Olio di oliva

Secondo stime Coldiretti la produzione di oliva in Italia crolla del 38%, a 265 milioni di chili, vicino ai minimi storici. Ciononostante le previsioni classificano l'Italia come secondo produttore mondiale nel 2018/19.

La Puglia, già colpita dalla xylella, segna un calo del 58% ma riesce a confermare la leadership nella produzione con 87 milioni di chili; seguono la Calabria con 47 milioni di chili (-34%), la Sicilia con 39 milioni di chili (-25%) e la Campania con 11,5 milioni (-30%). Al centro diminuisce a 11,6 milioni di chili la produzione in Abruzzo (-20%), a 14,9 milioni nel Lazio (-20%) e a 3,3 milioni nelle Marche (-40%) mentre aumenta a 17,8 milioni in Toscana (+15%), come in tutto il nord a parte la Liguria calata del 50% a 6,2 milioni di chili.

A livello mondiale si prevede un calo dell'8% dei raccolti (poco più di 3 miliardi di chili di cui la Spagna produce oltre la metà confermandosi leader mondiale. Crollo della produzione in Grecia (-31%) e in Tunisia (-57%).