Due guerre mondiali, il regime di Tito e la guerra etnica hanno messo a dura prova la presenza italiana in Bosnia ma i tragici eventi della storia non hanno cambiato l’identità e lo spirito di questo villaggio. Tuttoggi Štivor è piena di simboli di un’italicità che non è stata dimenticata, a partire dal cartello di benvenuto che accoglie i visitatori in serbo-croato ma anche in italiano.
Il pieno del sentimento italiano si trova al bar Trentino che ricorda una piccola osteria della Valsugana. Lì è possibile mangiare i piatti tipici delle zone di origine e si indossano i costumi tradizionali; il proprietario è italiano e agli interessati racconta in dialetto le vicende passate e attuali del posto. Non è raro veder girare macchine targate Trento da queste parti, così come non è raro sentire gli abitanti parlare in italiano o in dialetto. Ad oggi, infatti, il 92% della popolazione di Štivor è ancora di origine trentina, di cui tre quarti hanno mantenuto l’uso del dialetto trentino della regione della Valsugana, il quale, in Italia, invece, si sta lentamente estinguendo. Molti parlano attivamente italiano, mentre chi non lo parla, lo capisce. Da qualche anno nella scuola di Prnjavor è stato inserito l’insegnamento della lingua italiana grazie al sostegno delle associazioni dei Trentini nel mondo.
A Štivor le tradizioni sono importanti e sono ancora profondamente legate alla terra d’origine. Si festeggia il Carnevale e ogni domenica viene celebrata la Messa metà in italiano e metà in serbo-croato. Visitare questo villaggio è come fare un viaggio nel tempo per riscoprire valori ed usanze che purtroppo in Italia si stanno perdendo.
La volontà di tramandare le loro origini si manifestò sin da subito, a partire dal 1882 quando le famiglie in partenza dalla Valsugana decisero di portare con sè alcuni oggetti personali o di lavoro che per loro significavano casa nonostante il cambiamento, un modo per sconfiggere la nostalgia. Inoltre, nel villaggio era solito sposarsi tra familiari con l’obiettivo di mantenere vivi i legami tra di loro e di conseguenza i loro cognomi, ovvero l’indicativo più caratteristico delle proprie radici. La conseguenza è che oggi gli stivoriani sono quasi tutti imparentati tra loro, tuttavia, il venir meno di questa pratica e i successivi matrimoni misti tra serbi e trentini non sono riusciti a modificare l’identità di questo villaggio.
I cittadini di Štivor hanno la doppia cittadinanza e molti anziani ricevono pensioni italiane. Alcuni di loro non sono mai stati in Italia, conoscono la lingua, le usanze e i costumi perchè questo è quello che hanno sempre fatto i loro genitori. Ma allora che cosa significa l’Italia per gli stivoriani? Cosa rappresenta il Trentino per loro?
Più di un secolo di storia
Nel 1881 una pioggia incessante colpì la Valsugana e l’alluvione del fiume Brenta costrinse molte famiglie che si erano improvvisamente trovate senza casa e senza lavoro a migrare altrove. I compaesani pianificarono insieme di emigrare in Brasile, terra che prometteva campi e nuovi strumenti di lavoro, ma le speranze vennero presto spezzate quando alcune delle persone che avevano l'incarico di acquistare il viaggio in nave fuggirono con i risparmi dei poveri compagni. La decisione di emigrare in Bosnia giunse solamente in un secondo momento quando l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, in visita a Roncegno per le cure termali, decise di venire in aiuto alla popolazione donando loro un pezzo delle terre appena strappate all’impero ottomano in seguito al trattato di Berlino del 1878, con il quale l'Impero Austro-Ungarico aveva ottenuto l'amministrazione della Bosnia, che però rimase di fatto sotto la sovranità ottomana fino al 1908. Nel frattempo, era stata attuata una politica di ripopolamento della Bosnia, e così l’impero riuscì a mettere insieme terre da colonizzare e ripopolare con la questione dell’aiuto ai paesani rimasti senza niente. In questo progetto furono coinvolti i distretti di Prnjavor, Banja Luka, Konjic e Tuzla dove vennero accolte le famiglie provenienti dalla Valsugana, Primiero, Aldeno, Cimone, Roncegno, Ospedaletto e Levico Terme.
Nel 1882, poco più di 200 migranti speranzosi di poter iniziare una nuova vita, lasciarono il loro paese e partirono alla volta delle terre bosniache portandosi dietro la loro cultura, la loro lingua e le loro tradizioni. Dopo più di 1.000 km percorsi e un mese e mezzo di viaggio, i migranti arrivarono nel luogo che era stato loro assegnato. Non c’erano né chiese, né scuole e tanto meno case, solamente terra incolta e selvaggia e qualche albero di prugne da cui deriva il nome del paese: Štivor, anche conosciuto come il paese dove crescono le prugne. Sembra che il nome nasca da una storpiatura della parola bosniaca sljive che significa prugne, con le quali i valsuganotti cercarono di riprodurre una versione fruttata della grappa, chiamandola slivovizza, nonchè la sljivovica, una variante della rakija, distillato popolare nei Balcani.
Non furono solo gli italiani ad essere stati inviati a ripopolare quelle zone dell’impero, anche cechi, polacchi, tedeschi e ucraini arrivarono nello stesso anno in quella striscia di terra che molti usavano chiamare Mala Europa, piccola Europa.
L’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando nel 1914 non spezzò solamente il filo della pace in Europa, ma anche quello che teneva uniti i rapporti fra Bosnia e Trentino. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, quindi, gli immigrati trentini passano dall’essere popolazioni dell’impero a stranieri in terra di conquista. La Bosnia, epicentro dello scoppio della grande guerra, venne colpita e così anche l’area di Štivor. Seguì la ridefinizione dei confini e la nascita della Jugoslavia, il cui governo, insieme a quello italiano, raggiunse un accordo che prevedeva la concessione della cittadinanza italiana agli immigrati trentini in Bosnia a patto che sarebbero rientrati in Italia. Tuttavia, a causa del ritardo nell’arrivo delle informazioni o per la mancata propaganda locale (non era di certo interesse della Jugoslavia sbandierare la presenza di una comunità italiana in una zona promossa come interamente slava) solo una piccola parte rientrò. Durante la seconda guerra mondiale Štivor non subì bombardamenti perché si sapeva che era una zona abitata da italiani. Tuttavia, molti emigrarono in città della Jugoslavia più industrializzate come Fiume o Pola, se non all’estero, soprattutto con la fine del regime di Tito e dopo la successiva guerra etnica che aggravò la situazione nel Paese.
Nell’insieme dei gruppi etnici in Bosnia, oggi gli italiani sono la più piccola delle minoranze e ora non spetta più agli anziani ma ai giovani, portare avanti il legame con i loro antenati e investire in questa terra. Nel 1997 nacque a Roncegno l’associazione "Circolo Trentini di Stivor" con l’obiettivo di riunire gli stivoriani rientrati in patria e che si occupa di tutelare l'identità culturale degli Italiani e il mantenimento dei legami con la terra di origine. Grazie a quest’organizzazione e alla collaborazione fra la provincia autonoma di Trento insieme alla municipalità di Stivor è stato costruito un acquedotto che permette ora alle case del villaggio di accedere direttamente all’acqua potabile.
BOSNIACI O ITALIANI?
Le vicende storiche e culturali di Štivor dimostrano come la nazionalità o il sentimento di appartenenza ad un popolo sia un concetto che prescinde dal concetto formale di territorialità. Emerge, inoltre, la capacità di adattamento di una cultura che non ha voluto scegliere fra due paesi ma si è adattata a questo binomio. Le loro radici nascono in Italia, partono da una valle del Trentino e da lì hanno affrontato 1000 km di strada e più di un secolo di storia. È la testimonianza di una cultura che rimane solida e fedele alle proprie origini senza aver paura di adattarsi ai cambiamenti sociali, geografici e culturali, mischiandosi con altre esperienze e altre storie.
Questo è ciò che ci insegnano i cittadini di Štivor, cresciuti immersi nel sentimento italiano delle loro origini e che hanno deciso di coltivare lì nel Paese in cui oggi sono nati.