Una nuova mobilità tra identità plurime e lasciti culturali

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Abstract dell’articolo di Piero Bassetti per il fascicolo monografico "Viaggio tra gli italiani all'estero. Racconto di un paese altrove" il Mulino.

L’emigrazione è sempre percepita come qualcosa di negativo, tanto in entrata quanto in uscita, rispetto ai confini nazionali. L’emigrazione compare spesso, all’interno delle notizie, sotto forma di tragedia, anche quando di tragedia non c’è traccia. Laddove invece sussiste, l’emigrazione conquista il proscenio della comunicazione pubblica, facendo quasi dimenticare i veri e complessi, e altrettanto tragici, problemi che stanno alle sue spalle.

I mass media ci abituano così a pensare, per contro, alla stanzialità all’interno dei confini dello Stato-nazione come una dimostrazione di salute evidente della società. Se, però è vero che, solo in parte e a causa di vecchie dinamiche persistenti, l’emigrazione può rappresentare una spia in questo senso, è altrettanto vero che nel mondo contemporaneo globalizzato l’emigrazione possa e debba essere letta anche in altro modo.

Una prospettiva glocale

Il punto di vista che propongo si basa sul carattere fondamentale della globalizzazione. Essa - comunque la si voglia definire, qualunque aspetto se ne voglia considerare - riguarda il globo, il mondo, il pianeta terra, che, in quanto tale, è un luogo, unico, anch’esso delimitato e definito. Con evidenza, se desideriamo parlare di emigrazione all’interno della prospettiva globale non possiamo più intendere ciò che l’emigrazione solitamente implica - l’andare via da un luogo per raggiungerne un altro - perché il luogo è chiaramente lo stesso. All’interno di una prospettiva globale l’emigrazione assume un significato differente da quello che siamo soliti attribuirle.

A voler essere più precisi, la “prospettiva globale” dovrebbe essere una “prospettiva glocale”, sia perché il “globo” e il “luogo” coincidono, sia perché - per altro verso - il tutto condiziona le parti e da queste parti - i cosiddetti luoghi differenti - il tutto è condizionato, in un continuo processo dinamico e interattivamente complesso e vario. All’interno di uno stesso luogo, si può parlare solo di “movimento” e, all’interno del processo di globalizzazione, il movimento acquista - per chi la voglia cogliere - una luce nuova.

Per positiva o negativa che sia, per voluta o drammaticamente forzata che sia, la mobilità è innanzitutto un fatto storico. Che in quanto tale genera identità. Se le emigrazioni ci raccontano storicamente di scontri o incontri di identità formatesi su territori, le mobilità globali possono essere lette come azioni collettive all’origine di nuove identità ibride, che attraversano funzioni tanto sociali ed economiche, quanto culturali e politiche...

Il dramma dell’emigrante consiste soprattutto nello spostarsi da un mondo identitario a un altro. L’intensificazione del numero delle relazioni umane - generata anche dai nuovi mezzi di comunicazione e informazione di massa - sta suscitando, però, più rapidamente che in passato, forme identitarie plurime e ibride. La mobilità globale sembra offrire, così, opportunità di confronto, dialogo e cooperazione, che valorizzano tanto, nel suo complesso, il globo con le sue funzioni, quanto, nella singolarità, coloro che si rendono protagonisti – talvolta nella sofferenza o nel dramma – di questa mobilità.

L'Italicità

In effetti, la globalizzazione sta generando nuove forme identitarie, tra le quali è possibile riconoscerne una molto interessante per noi italiani: quella ‘italica’. L’italicità, come “civilizzazione” è, come le altre identità globali, ibrida. Appartiene, a livelli di intensità diversi: a tutti coloro che, principalmente o solo in parte, si sentono attratti e ispirati, nella loro prassi quotidiana di vita, da valori culturali scaturiti dalla storia delle persone vissute in quel locus denominato geograficamente “Italia”.

Gli italici si muovono, così, all’interno dello stesso mondo fisico (il pianeta terra) e all’interno dello stesso mondo culturale (l’identità italica), seguendo i flussi che alimentano differenti funzioni e differenti finalità sociali. In rapporto ai valori culturali cui ci si ispira. L’italicità è stata creata, nella sua manifestazione contemporanea, dalla mobilità di persone e cose (materiali e immateriali)...

Grazie agli italici, popolazione mobile e non facilmente circoscrivibile, l’Italia amplia così i propri confini, fino a farli coincidere, come avviene potenzialmente per tutte le altre identità globali, con quelli del pianeta terra. Non si tratta di depauperare il globo delle plurali identità “radicate”, bensì di cogliere la ricchezza della reciproca contaminazione, che genera, come sempre è avvenuto nella storia, nuove plurali identità ibride...

I giovani sanno che, con la loro mobilità, portano, nei luoghi in cui si recano, cultura propria (anche con la mediazione della nuova lingua franca che è oggi l’inglese) e si nutrono di quella altrui, cogliendo meglio le peculiarità tanto dell’una quanto dell’altra. Dovremmo aver ormai capito che l’ibridazione di culture non genera decadenza, oppure crisi, oppure omologazione, bensì nuove culture, nuove identità, nuovi valori, per loro natura dinamici e storici. È un’Europa senza Stati e senza confini quella che i giovani stanno costruendo, anche attraverso la loro mobilità. È qualcosa di nuovo: è il frutto di una nuova mobilità, che si manifesta tra identità plurime e lasciti culturali, capaci di plasmare progressivamente una nuova Europa, anch’essa in movimento. L’Europa del futuro è in cammino.

Piero Bassetti

Indice del Fascicolo (Il Mulino"Viaggio tra gli italiani all'estero. Racconto di un paese altrove" n. 6/18).