Costruire il futuro a San Paolo

Ludovica è la nostra prima italica cento per cento virtuale, che non incontriamo di persona e non vive in un luogo che abbiamo visitato. La intervistiamo via Skype in piena emergenza coronavirus, chiusi in casa noi a Milano, lei a 9.500 chilometri e cinque ore di fuso più a ovest, a San Paolo del Brasile.

35 anni, architetta, abita là da 9, da quando ha deciso di lasciare Roma per l'altro capo del mondo. «Non che non mi piacesse la mia città», racconta, «ma sono sempre stata curiosa del "fuori". Già durante l'università sapevo che me ne sarei andata». La scelta è caduta sul Brasile perché Ludovica ha fatto un anno di Erasmus in Portogallo, ha imparato la lingua e cominciato ad appassionarsi del Paese, dove da qualche tempo è in corso un nuovo, interessante movimento architettonico. «Nel 2010, poi, ho fatto un viaggio con i miei genitori: mi sono bastate 48 ore a San Paolo per capire che avrei voluto viverci». Voilà. A 26 anni, supera l'esame di Stato e parte, con le valigie strapiene di chi sa che non tornerà per un pezzo, e poco altro. Niente lavoro, pochi contatti, molta incoscienza. Ma qualcosa si muove: un corso post laurea per ottenere il visto di studio, le prime collaborazioni, un progetto qua, uno là, case in legno, fabbriche. La vera svolta è l'incontro con Guto Requena, architetto giovane ma già piuttosto noto, con il quale nel 2016 cura il progetto per il Dancing Pavilion, il padiglione della birra Skol alle Olimpiadi di quell'anno. «Oggi sono socia dello studio», dice. «Ci occupiamo di tecnologia applicata al design e all'architettura, di spazi lavorativi, uffici, imprese. È entusiasmante. Il Paese è in crescita, c'è bisogno di tutto tanto quando in Europa sembra che non serva più niente: le aree pubbliche, per esempio, qui sono ancora da inventare. C'è tanto spazio per chi ha voglia di fare».  
Inutile dire che di tornare a casa Ludovica non ha alcuna intenzione. «Casa ormai è qui», spiega. «San Paolo è una città che va scoperta e capita, poco turistica, apparentemente brutta. In realtà è piena di risorse, di vita, di bellezza nascosta. Ci sono mostre, show, cultura, tanta gente ovunque. È una continua esplosione di vitalità, un mondo in miniatura dove si incontrano razze, colori, differenze sociali. Scendi in strada ed è tutto lì, davanti ai tuoi occhi». Il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il ricco e il povero. «Non dico che sia facile», precisa. «È un dato di fatto che il Brasile è un luogo più pericoloso dell'Italia, ci sono la violenza, il problema delle armi, per molti la vita vale zero. In particolare i centri storici sono malfamati, perché i ricchi si sono spostati nei nuovi quartieri e hanno lasciato i vecchi in balia della criminalità. Ma con un po' di attenzione si fa tutto: si esce - purché in gruppo - si va in metropolitana la sera, si va in giro. Certo, non si può parlare al cellulare per strada, non si vede mai abbassare il livello di guardia, ma ci si abitua, ci si convive». E ne vale la pena. Tanto più che gli italiani in Brasile hanno un extra bonus. «Siamo particolarmente amati e rispettati», rivela. «Metà degli abitanti di San Paolo hanno origine italiana e per loro è motivo d'orgoglio. Vedono l'Europa come un sogno e guardano te, che dall'Europa arrivi, con ammirazione. Facendoti vedere il tuo Paese sotto una luce nuova». Anche perché l'immigrazione non è più quella di una volta: «Le persone che arrivano qui non sono disperate o in fuga dalla guerra: sempre più spesso sono giovani di talento, che in poco tempo riescono a ritagliarsi il loro spazio e ad avere successo». Proprio come ha fatto lei. Quanto a noi, va da sé che abbiamo già aggiunto San Paolo alle mete da visitare al più presto, quando questa quarantena finirà e saremo di nuovo liberi di portare in giro il nostro Montone.
 
Intervista a cura di Ram on the Run