Fate la pizza, non fate la guerra

«Si taglia a fette, è fatta apposta per essere condivisa. E poi è universale, perché alla base puoi aggiungere qualsiasi condimento. È anche per questo, per la sua filosofia, che Mr Masuko si è innamorato della pizza». Giang Tran, responsabile marketing di Pizza 4P’s, catena di pizzerie aperte in Vietnam da un giapponese, è orgogliosa del suo capo (che era troppo occupato e quindi ha mandato lei a incontrarci).

Noi soffochiamo una risata, «Ecco, forse da italiani dovremmo rivelarvi che sulla pizza non si mette proprio tutto», ribattiamo senza calcare troppo la mano, senza specificare che alcuni topping come il pollo o il sashimi da noi sarebbero ritenuti illegali, o meglio sacrileghi. «E a dire la verità nessuno ama condividere la pizza. Anzi, siamo piuttosto gelosi e possessivi nei confronti di quella che abbiamo davanti». Tipo leonessa con i leoncini, pronta a dilaniare il primo che si avvicini. Detto ciò, va bene lo stesso. Perché la pizza di 4PPizza's è onesta, anzi buona, e la sua storia divertente – un giapponese che apre un ristorante italiano in Vietnam non suona forse come l’incipit di una barzelletta? Tanto più che il primo a decantarcene le lodi è stato un francese.

Tutto iniziò nel 2009. Mr Masuko, che oggi ha 37 anni, una dozzina di ristoranti e quasi altrettanti in cantiere, viveva ancora a Tokyo, dove, per esaudire il desiderio dell’ex fidanzata (che ora, verosimilmente, si starà mangiando le mani), si costruì da solo, con l’aiuto di alcuni amici, un forno da pizza nel giardino di casa. Quando la compagnia per la quale lavorava lo spedì in Vietnam, di pizze ormai ne aveva sfornate così tante che, con un colpo di testa assai poco nipponico, Masuko decise di mollare tutto e tentare la fortuna nella ristorazione. Era il 2011 quando aprì il primo 4P’s (che sta per for peace): nel giro di un anno le cose andavano così bene – merito degli expat che si passavano la voce e dell’omotenashi, l’ospitalità nipponica, con la quale il cliente viene accolto e messo a suo agio – che ne aprì un secondo, poi un terzo, e così via. Per farla breve, oggi tutti conoscono il marchio – persino il New York Times ne ha scritto – e di trovare un tavolo senza prenotare non se ne parla proprio. E poi c’è il capitolo formaggio. I giapponesi, si sa, sono dei precisini, e Masuko, che in Italia c’è stato più volte e ha assaggiato la mozzarella vera, non poteva accontentarsi di un sottoprodotto. «All’inizio la faceva arrivare dal vostro Paese, ma la qualità scadeva con il trasporto», spiega Tran. Così ha aperto un caseificio sui monti vicino a Da Lat: ha imparato i segreti della lavorazione guardando video su YouTube, ha arruolato un altro giapponese che da anni produceva formaggio in Francia et voilà, problema risolto in un trionfo di fiordilatte, burrata (la specialità della casa), caciocavallo, ricotta e altre variazioni sul tema. «Anche i clienti italiani approvano», assicura la nostra interlocutrice. «Mr Masuko, però, ne è ancora un po’ intimidito. Quando aveva appena aperto, ogni volta che ne arrivava uno al ristorante, lui e sua moglie si nascondevano dietro al forno per spiare la reazione». Non ce n’è più bisogno. La pizza in salsa jap ha conquistato tutti a tal punto che – giuro – abbiamo visto un connazionale ordinarne una al manzo speziato, e rimanerne soddisfatto.

 

A cura di Ram on the run