Chiamarlo “ristoratore” sarebbe riduttivo. Per Simone Scalas, proprietario e chef dell’Isola dei Nuraghi di Luang Prabang, preferiamo un bouquet di altre definizioni: imprenditore, avventuriero, filosofo. Anche un po’ comico, vista la sua verve e una certa somiglianza con Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo.
Nato in provincia di Cagliari, è in Laos già da qualche anno. «Sono arrivato con 300 dollari in tasca, perché mi avevano fatto un’ottima offerta di lavoro», ricorda. Peccato che poi l’abbiano lasciato a piedi. Pazienza, lui non si è fatto scoraggiare: ha provato ad avviare la sua attività, non ci è riuscito, ci ha riprovato, ha avuto una miriade di grane con i soci e altri problemi che ci enumera con l’entusiasmo di chi ama raccontarsi. C’è voluto del tempo, insomma, ma oggi la sua Isola funziona e soddisfa i clienti, che siano backpackers con la nostalgia del western style o laotiani in cerca di qualcosa di diverso dal solito riso.
Eppure Simone non è tipo da accontentarsi. Proprio accanto a casa sua, dove vive con Pocky, futura moglie laotiana e mamma del suo primo erede, sta costruendo un altro ristorante, Villa Nuraghi: solo un sogno per ora, un cantiere di travi e mattoni, ma già se ne intuisce la potenzialità, la bella terrazza dove cenare quando il pavimento sarà abbastanza stabile da non rischiare di cadere di sotto. Intanto a fargli compagnia è arrivato il suo amico Andrea, milanese con madre e accento sardo, ex grafico. Da casa ha portato due piantine di mirto, il progetto per la nuova, scintillante insegna del locale e una valigia piena di monachelle: «Sono le aragoste delle lumache, e qui vanno pazzi per le lumache», spiegano i due compari. «Queste sono sarde, devono adattarsi al clima. Ma lo siamo anche noi e ci siamo abituati, finiranno per farlo pure loro». Il business potrebbe fruttare bene. «Vorrei provare ad allevare anche le rane», continua l’irrefrenabile Simone. «E sto preparando la cella per stagionare i prosciutti, perché con questo caldo, per ora, riesco a fare solo la salsiccia fresca».
Nel tempo libero, l’Aldo Baglio sardo si interessa di teorie alternative – siete davvero sicuri, voi, che la terra sia tonda? – e sfida i concittadini a calcio a sette: «A casa giocavo a livello semi-professionale. Qui i ragazzini vengono a vedermi allo stadio», dichiara senza finta modestia. «Altro che ristorante, quello che vorrei veramente è fondare il Luang Prabang F.C. e portarlo nella seria A locale». Due minuti dopo tira fuori scarpette numero 42, un paio di calzoncini e una maglietta del Cagliari e cerca di convincere l’ingegnere a unirsi a lui e agli altri pizzaioli del paese («Dai, c’è anche l’italiano di Secret Pizza”) per una partitella serale. «Sarai il nostro Gattuso», gli promette. Ma mancano due ore al match e la sottoscritta si sta già autofustigando in silenzio alla prospettiva delle successive tre ore sugli spalti senza una Beerlao. Amore è anche questo: rinunciare alla sfida della vita per idratare la tua compagna di viaggio (e avere un favore da riscuotere).
L’isola dei Nuraghi, Kingkitsarath rd., Luang Prabang.
Articolo a cura di Rum on the run