5 novembre 2020

RIPROGRAMMATO. I frontalieri in Europa. Un quadro storico.

di lettura

Giovedì  5 novembre alle ore 17.00, sulla pagina Facebook di CGIL Lombardia, si terrà la presentazione del volume di Paolo Barcella, docente di storia contemporanea e dell’America del Nord  presso l'Università degli studi di Bergamo.

Il contenuto che segue è un approfondimento a cura di Giuseppe Augurusa (responsabile nazionale Frontalieri e dei Consigli Sindacali interregionali della CGIL)  sulle tematiche che verranno affrontate durante l'evento. 

Il lavoro frontaliero rappresenta una forma di pendolarismo internazionale di corto raggio, in maniera significativa fin dai primi del novecento, tra Stati confinanti o limitrofi, tra luoghi di residenza e lavoro. Molto diffusa nei paesi dell’Unione europea (oggi sono oltre 2,5 milioni) è storicamente rilevante anche per le implicazioni sui rapporti tra paesi e comunità contigue. Il confine economico, talvolta linguistico, gli ordinamenti statuali fortemente differenti, nonché le pulsioni nazionaliste accompagnate da un certo pregiudizio identitario, non hanno tuttavia impedito la crescita del fenomeno ed il suo consolidamento, tanto da rendere alcune aree dell’Europa geografica (la Svizzera, l’area di cooperazione economica del Benelux, la linea di confine franco iberica solo per citare le più significative tra le oltre quaranta aree di frontiera a grande mobilità transfrontaliera), territori ad economie e forza lavoro interconnesse ed inestricabili. Negli anni più recenti l’innovazione tecnologica dei trasporti, il miglioramento delle reti viarie, le grandi infrastrutture nelle aree pedemontane, riducendo fortemente i tempi di attraversamento, hanno allungato notevolmente il raggio geografico dei percorsi ridefinendo nuovi rapporti tra persone, comunità, culture, merci e lavoro.

L’attualità ci consegna tuttavia ulteriori complessità. Da un lato la pandemia che condiziona il movimento delle persone, delle merci, l’organizzazione del lavoro e le relazioni istituzionali, dall’altro le pulsioni identitarie che si attardano sul tema della frontiera come gravida di rischi anziché foriere di opportunità, ripropongono la messa in discussione della libera circolazione proprio mentre l’Europa, incalzata dal coronavirus, sembra aver ritrovato le ragioni dello stare insieme attraverso il superamento del tabù della condivisione del debito. Occasione di approfondimento sarà quindi il libro di Paolo Barcella docente di storia contemporanea presso l’Università degli studi di Bergamo; un saggio ricco di dati, riferimenti storici e puntuali analisi del fenomeno ai giorni nostri. Uno strumento prezioso per una materia in vero non largamente trattata, ragione per cui non disponiamo di un vasto materiale analitico quanto il fenomeno meriterebbe e quanto accade per altre dimensioni del lavoro.

A partire dal “laboratorio svizzero”, a valle dell’iniziativa popolare del 27 settembre contro la libera circolazione, consultazione promossa dal partito nazionalpopulista dell’Unione democratica di centro, insieme a politici, intellettuali, amministratori e sindacalisti rifletteremo sul possibile nuovo paradigma del lavoro transfrontaliero, sulle relazioni tra gli Stati limitrofi, sugli strumenti della cooperazione internazionale finalizzati alla governance condivisa delle aree di frontiera tra Enti pubblici ed organizzazioni della rappresentanza sociale. Prendendo l’abbrivio dalla storia del lavoro frontaliero, il cui primo riferimenti storico Barcella colloca nelle esperienze dei facchini ticinesi nella seicentesca Milano, arriveremo ai giorni nostri riflettendo sulla dicotomia tra luogo di lavoro e luogo di vita. Sui sistemi istituzionali che governano le aree di frontiera e che vivono spesso il paradosso di un decentramento di fatto tra problemi e competenze. Sulla matrice culturale comune, una sorta di ubi consistam che, mentre il rigore degli ordinamenti degli Stati sembra aver completamente smarrito (si pensi al concetto di Italicità: “i cittadini italiani in Italia e fuori dall’Italia, ma anche e soprattutto i discendenti degli italiani, gli italofoni e tutti coloro che hanno abbracciato valori, stili di vita e modelli di quell’Italian way of life diffuso nel mondo, ibridandolo con altre culture”, sostenuto con determinazione per decenni da Piero Bassetti come atavica matrice comune, quasi ancestrale), costituirebbe forse un adeguato antidoto alle riemergenti pulsioni nazionali, sempre alle prese con il pendolo della storia che oscilla costantemente tra la conservazione ottusa del localismo e la destrutturazione cinica della globalizzazione. Sulla necessità non più rinviabile di ripensare all’organizzazione del lavoro ed alle tante contraddizioni esplose nell’economia di “movimento” sotto la severità della pandemia, che sfida in primis le organizzazioni sindacali sul terreno di una nuova possibile riorganizzazione del mondo del lavoro, magari un po’ più smart di quanto la retorica di questi mesi ci ha raccontato.      

GIUSEPPE AUGURUSA

 

 

  

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INFORMAZIONI SULL'EVENTO 

Presentazione del libro “I FRONTALIERI IN EUROPA. UN QUADRO STORICO”

Giovedì  5 Novembre - ORE 17:00 

Facebook di CGIL Lombardia

Il lavoro frontaliero europeo rappresenta una forma del pendolarismo internazionale di breve raggio, ossia è il prodotto dell’osmosi, della circolazione di forza lavoro tra regioni adiacenti divise da un confine politico. I frontalieri, percorrendo il tragitto che separa casa dal luogo di lavoro, devono attraversare una frontiera di Stato, che, a seconda dei casi, può costituire anche un confine economico e linguistico: in questo modo, i frontalieri vivono alcune delle esperienze caratteristiche dei migranti, pur non essendo migranti in senso stretto. I frontalieri, infatti, non si trasferiscono da un paese a un altro per ragioni che incidano tanto sulla loro vita professionale, quanto su quella familiare, sociale, culturale: infatti, mantengono nel paese d’origine il “fuoco acceso”, cioè la famiglia, i legami sociali extraprofessionali, la gran parte dei luoghi di consumo culturale, i rapporti con le istituzioni sanitarie, scolastiche e con tutti i rami della pubblica amministrazione. L’attualità ci consegna ulteriori complessità. Da un alto la pandemia che condiziona il movimento delle persone, delle merci, l’organizzazione del lavoro e le relazioni istituzionali, dall’altro le pulsioni identitarie che si attardano sul tema della frontiera come gravide di rischio anziché foriere di opportunità, ripropongono la messa in discussione della libera circolazione proprio mentre l’Europa sembra aver ritrovato le ragioni dello stare insieme. A partire dal “laboratorio svizzero”, a valle dell’iniziativa popolare del 27 settembre, rifletteremo su un possibile nuovo paradigma del lavoro transfrontaliero.

Ne discutono con l’autore

Paolo Barcella - Docente di storia contemporanea e dell’America del nord Università degli studi di Bergamo

Elena Lattuada - Segretaria Generale della CGIL Lombardia

Giangiorgio Gargantini -  Segretario Regionale UNIA Ticino e Moesa

Francesco Quattrini - Delegato del Governo Cantonale del Ticino per le relazioni esterne e segretario della Regio Insubrica

Con il contributo di

Marina Sereni - Vice Ministro per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale

Piero Bassetti - Presidente dell'associazione Globus et Locus, già primo Presidente della Regione Lombardia (sarà presente con un contributo video registrato)

Introduce e coordina

Giuseppe Augurusa - Responsabile nazionale Frontalieri e dei Consigli Sindacali interregionali della CGIL

E con la partecipazione delle Camere del Lavoro di confine